C’è almeno uno strumento di marketing che tutti i professionisti utilizzano: il biglietto da visita.

Per certi versi potrebbe essere considerato uno strumento antidiluviano: che si cerchi una persona recuperandone il biglietto da visita è un rarità. Assai più pratiche sono le vie digitali. Eppure fioriscono le riunioni di networking il cui scopo è proprio quello di scambiarsi il biglietto da visita.

Servono? Più o meno. Quando tutti sono in affanno per sbolognare il proprio biglietto cala l’attenzione per quelli che si ricevono. Dopo una riunione di networking la regola è l’arrivo di una mail che esordisce con “Gentilissimo, vorrei avere l’occasione di approfondire con lei quanto le ho anticipato sul mio mestiere” e l’eccezione è che un aspirante networker vi cerchi subito per chiedere le vostre prestazioni.

Insomma, un biglietto da visita lasciato al termine di una conversazione casuale (seria, non fare la figura dei mentecatti distribuendoli in un ascensore affollato: qualcuno propone anche questo) vale cento volte più di quello consegnato a un networker.

Ma davvero lo scopo del biglietto da visita professionale è quello di trasmettere un’informazione base come “mi trovi in questa via al telefono su questo numero”? Credo sempre in meno casi. Dunque il vero scopo non è di essere cercati ma di essere ricordati. Insomma di colpire il destinatario, al quale pur sempre si sta mettendo in mano il primo oggetto che ci riguarda.

L’obiettivo viene facilitato da un biglietto un po’ frizzante.

 

Biglietto da visita

 

Biglietti da visita efficaci

 

Ma un professionista può permettersi di fare il giocherellone? Alcune situazioni si giovano di una sdrammatizzazione. Un dentista ha tutto da guadagnarne, ad esempio.

 

biglietto da visita

 

In altri casi la tensione del cliente crea un’aspettativa di solennità. Certo, ci sono situazioni in cui i clienti sono già immersi nel disincanto, nel cinismo, nel sarcasmo. E quindi ci si può permettere il lusso di accodarsi a questi sentimenti.

 

 

biglietto da visita efficace

 

Ma per un avvocato penalista non funzionerebbe felicemente un biglietto diviso verticalmente in due con una ghigliottina sullo sfondo.

Anche per i biglietti da visita si sprecano i consigli del genere “non uscite a torso nudo se fuori nevica”. Caratteri leggibili, usate una grammatura spessa, date le informazioni essenziali, lasciate degli spazi vuoti…

Un suggerimento pratico meno convenzionale è quello di aiutare chi riceve il biglietto a ricordare l’occasione in cui ci si è conosciuti. Buona norma, ogni volta che riceviamo un biglietto da visita sarebbe (se non lo buttiamo perché non c’interessa) scrivere sul retro il quando e dove dell’incontro. Per sollecitare le persone a fare altrettanto con il nostro non è male predisporre a stampa elementi testuali come “conosciuto a” “in occasione di”.

 

Un suggerimento che recentemente ha preso piede è quello di inserire un’immagine. Non fa una piega se si tratta di un logo o di una foto aziendale che per qualche ragione è di pregio. Ma un professionista? Dissento totalmente dall’idea di metterci la faccia, letteralmente. Così abbiniamo immediatamente il nome al volto, è la giustificazione. D’accordo. Ma sembra anche una patente di guida, e comunque non è detto che vedere la foto di un tizio su un biglietto sia un incentivo a tenerlo a portata. Anzi.

Diverso è un disegno evocativo del vostro mestiere a condizione però che non sia: a) standardizzato b) banalmente iconico c) aggressivo. La cosa migliore è un tratto stilizzato che conservi nella figura una percentuale di astrazione, consentendo a chi lo ha in mano di completarne il senso secondo la propria sensibilità.

Con i disegni o senza, se lo scopo è di farsi ricordare il biglietto da visita deve essere un veicolo di identità. Esprimere la propria, giocando sulla forma o il colore, genera empatia, ovviamente se il risultato non è sgradevole. Un modo di guadagnare spazio è quello di allargare il formato, mediante un pieghevole, anche parziale.

Ma cosa farsene di uno spazio se abbiamo detto che ormai il valore informativo del biglietto da visita è minimo? Per trasmettere le informazioni tecnicamente meno essenziali, che però fanno di voi un unicum, o almeno vi sottraggono alla piattezza. Un job title personalizzato e  creativo, il richiamo di alcune sotto-specializzazioni, una frase che riassuma la propria visione della professione, una disposizione degli elementi che metta in luce le priorità.

Tirare fuori il proprio biglietto da visita e dirsi: “mah, forse posso fare in modo che questo pezzo di cartone abbia qualcosa di profondo a che vedere con me” è un ottimo esercizio per riflettere su come ci si colloca dentro la professione. Propongo un altro esercizio, preliminarmente: se sotto il vostro nome c’è scritto “notaio” o “avvocato” o “medico chirurgo” aggiungete a matita un articolo indeterminativo. Fatto? Ora guardate. In calce al vostro nome si dice che siete “un” notaio, “un avvocato”, “un” commercialista, “un” architetto. Non suona triste? Uno? Uno identico ai colleghi? Pensate che, anche se non lo vedete, è proprio così che lo leggono gli altri. Con l’articolo indeterminativo. Non vi sentite un po’ “ridotti”?

 

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