È ormai pacifico, nella logica della responsabilità sociale d’impresa, che un comportamento virtuoso giova anche al business. Ma la sua efficacia comunicativa si moltiplica quanto più è diffusa la sua efficacia reale. Cosa intendo con efficacia diffusa?

 

Tre sono le situazioni che aumentano la potenza di una strategia di responsabilità sociale:

  • Quella in cui l’impresa impatta in modo sostanziale sulla vivibilità collettiva: può accadere o quando l’impresa opera su grande scala o quando la ricaduta delle sue condotte riguarda un territorio ben determinato.
  • Quella in cui l’impresa si vota invece che (o in aggiunta) a una causa sociale generica a una causa sociale strettamente interdipendente con la sua produzione.
  • Quella in cui l’impresa costringe o induce altri soggetti ad adottare comportamenti virtuosi, oltre naturalmente a metterli in opera di suo. È questo il caso che chiamo catena della responsabilità sociale, e di cui mi occupo in queste righe.

 

La Corporation Social Responsibility, per propria natura, alza l’asticella degli obblighi assunti dall’azienda.

Infatti, i primi comportamenti ispirati alla responsabilità sociale sono poi travasati in doveri giuridici, specialmente in materia di inquinamento e sicurezza sul lavoro.

Oggi vi sono comportamenti negativi, che per quanto non penalmente sanzionati, spingono l’impresa fuori dal mercato, anche senza che si inneschino espresse campagne di boicottaggio.

Esistono poi cicliche parole-chiave, intorno a cui ruota per un periodo la RSI: quella attuale è certamente sostenibilità. In questi casi, tuttavia, il rischio è triplice:

  1. Il concetto viene annacquato, e appare soddisfatto anche da alcuni adempimenti formali.
  2. Conformarsi al requisito della sostenibilità distoglie l’impresa dalla ricerca di cause sociali che connotino più specificamente il suo agire
  3. In nome della comune adesione alle regole della sostenibilità (e della pigrizia intellettuale nel pensare in modo più esteso, o nel declinare la sostenibilità secondo criteri molto specifici) precipita il livello di differenziazione concorrenziale che garantisce la CSR.

Il triplice rischio riguarda sia le aziende, che perdono l’opportunità di migliorare un fattore di competizione, sia i consumatori, dei quali risulta affievolito il potere di condizionare positivamente la produzione.

Come evitarlo attraverso la catena della responsabilità sociale?

 

L’azione più efficace è alla portata delle grandi imprese che sono a capo di una filiera di produzione. Esse si trovano così in condizione di dettare le regole anche ai loro fornitori. È la strada scelta per alcuni brand della Unilever o per la Lush, ad esempio.

Ma la sicurezza della filiera può essere adottata anche da imprese in partnership, all’interno di un accordo di rete o di una struttura consortile. E se l’iniziativa viene presa da piccoli produttori collettivamente l’azione viene percepita ancora più meritoria e beneficia (grazie alla pluralità delle imprese che la realizzano) di una “diffusione” comunicativa virale, secondo i medesimi principi della condivisione sui social media.

Meno praticato, ma in potenza ancora più visibile, è incidere sulla filiera di distribuzione: il produttore sceglie i distributori (o l’intero canale distributivo) non in funzione esclusiva di un accordo commerciale ma sulla scorta di una compartecipazione alla responsabilità sociale del distributore o dell’intreccio tra due cause sociali distinte (quella del produttore e del distributore), che ricevono reciproco rinforzo dal richiamarsi. Molto più frequente è l’ipotesi contraria, quella in cui il distributore “discrimina” i produttori in funzione della loro responsabilità sociale. Spesso, è vero, il caso si confonde con una semplice “specializzazione” del distributore (ad esempio per chi vende solo prodotti biologici o a chilometro zero). Per elevarlo a catena di responsabilità sociale è opportuno che vi sia un’ulteriore distinzione all’interno delle categorie (tra quelli che producono biologico solo quelli che…).

 

 RSI

L’obiettivo più ambizioso che una catena di responsabilità sociale può porsi è di incidere sulla condotta dei consumatori. Più precisamente, motivare gli individui a una scelta socialmente responsabile che contenga un plus rispetto al puro e semplice fatto di consumare il prodotto.

Il modo più facile è introdurre un filtro tra l’azienda e il pubblico: abbastanza frequente è il caso dell’ente non profit. Ma questo passaggio, se da un lato semplifica, dall’altro finisce per consegnare all’ente non profit, a scapito dell’azienda, il ruolo di motore del cambiamento. Ha un altro valore (comunicativo e di incidenza sociale) relazionarsi in modo diretto ai consumatori, e naturalmente ottenere, (ed esibire al pubblico), se non proprio una misurazione, una verifica del fatto che l’individuo si sia comportato come richiesto.

 

Tra i due poli della catena di responsabilità sociale (le imprese che si trovano all’inizio della filiera e i consumatori finali) vi sono diversi stadi intermedi, e alcuni di rado sono presi in considerazione dalle imprese. Per esempio, l’azienda potrebbe convincere una comunità territoriale ad adottare la condotta virtuosa innestata dal comportamento sociale dell’azienda; oppure, per la campagna pubblicitaria, preferire dichiaratamente un’agenzia che, per biografia, programma o condivisione dalla causa, assicuri una comunicazione “ecologica” (in senso lato) del messaggio.

La responsabilità sociale, superato lo stadio base nel quale è un’attività di natura amministrativa, accede a un livello superiore, nel quale è strategica e anche fortemente creativa: una creatività sui generis, dato che deve mettere insieme la ricaduta reale sulla società della condotta responsabile d’impresa e la qualità comunicativa. Entrambe sono valorizzate da una catena di responsabilità sociale. Al tempo stesso, la catena chiede alla creatività uno sforzo supplementare, poiché sia l’efficacia reale che la qualità comunicativa migliorano se le condotte non sono solo l’immutabile adesione a uno standard ma invece il rinnovamento di iniziative e azioni tutte riconducibili a una causa sociale prevalente.

 

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